Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. II, 1912 – BEIC 1873537.djvu/254

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l’altezza, che, secondo me, era maggior dell’altezza di San Pietro (non parlo della cupola), la qual altezza fu notata per cosa mirabile dal medesimo Ammiano, parlando dell’anfiteatro: «/1d cuius summit atem aeg-re visio fiumana conscendi t» . E, per conchiuderla, oltre alle sudette stimo ancor piú di San Pietro le fabriche antiche non solo dell’acquedotto, fatto da Claudio, tirato per lunghezza di quaranta miglia e tanto alto che portava l’acqua sopra tutti i monti di Roma; ma, quel che par piú mirabile, stimo piú la fabrica delle cloache antiche della cittá. Nel qual paradosso mi rimetto a quel che ne dice Plinio nel trigesimosesto al capitolo quindici, e mi rimetto in ogni cosa al giudizio di V. S., la qual prego ad iscusarmi della sovverchia lunghezza usata per soddisfare alla calda istanza che me ne fa. E s’ io avessi preso errore in qualche cosa, mi scusi per la debolezza della memoria o del giudizio e per la fretta che ho usata nello scrivere, dovendo scriver di piú molto altro in questa sera.

Ma per fine, ancorché le sudette fabriche sien mirabili, una però ne vedete voi altri signori in Bologna di presente, la quale vai piú di tutte quelle insieme; ed è tanto piú maravigliosa quanto ella si muove, ad imitazion forse di quelle di Nerone, perché ancor cotesta ha forma d’un cielo. Piacesse a Dio, il qual fu l’architetto, che ritornassero al mondo i Plinii, gli Ammiani e i Cassiodori per far fede di tanto miracolo alla posteritá. La qual cosa sia detta per rallegrare un poco la tediosa materia di questa lettera; ma per veritá e ’n confidenza fra di noi. Al signor Gualanti mi ricordo servitor di monsignore, e a V. S. con tutto 1’affetto bacio la mano.

Di Roma, a’ xxn di febbraio 1612.