Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. II, 1912 – BEIC 1873537.djvu/277

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certamente non son tanto scioperato né tanto morbino, attesa la continova occupazion de’ miei studi e la spessa afflizzion del mio mal della pietra, che non danno mai luogo a leggerezze vili né a bagatelle fanciullesche, con tutto che in altre nostre occasioni sia sempre partito a V. S. ch’io scherzi volentieri con esso lei cosi in voce come in carta. Il che in effetto non è stato mai, ma sempre ho parlato dadovero e sempre ho scritto da senno. Della qual veritá V. S. s’accorgerá appieno, se tornerá indietro colla memoria a ponderar piú sensatamente le mie parole dette e se tornerá a rileggere con occhio piú svegliato le scritte. Eccettuato però quel paio di lettere dell’anno passato che trattavano del ritratto, intorno al quale io volsi piú tosto giocare che adirarmi, come piú avrei dovuto; le quali lettere io pretesi che si contenessero dentro ai termini dello scherzo, senza passare allo scherno. Pure, poiché V. S., come troppo ombrosa che è, si serve, ogni volta ch’interpreta, piú della sua coscienza che del suo ingegno e vuole in ogni modo ch’anco adesso io abbia burlato, io non vo’ guastarle si bella chimera in capo, per non iscompiacerle. Anzi vo’ replicarle appunto secondo quella e ballar conforme all’invito del suono, come se realmente burlato avessi. Ché alla fine il burlare non è bestemmia, non è eresia, non è delitto capitale.

Dico dunque che a V. S., per fare una lettera la qual sia quasi quintaessenza di lettera, non fa bisogno di stillar tutte le sue, ma solo ne può prendere una fra esse a caso e quella stimar per quintaessenza, senza porla in lambicco ed in pericolo di farla risolvere in fumo o in zero via zero. Poiché, si come il vino, quando è ottimo, quale per esempio sarebbe la malvagia di Candia, equivale all’acquavite o all’elesir, cosi le scritture di V. S. (massimamente quelle ch’Ella compone da un tempo in qua, dopo la stampa delle prime Rime ) son tutte quante fior di perfezione per se medesime senza altra distillazione, e sian pure in verso o sian in prosa, mercé dello stil metaforuto (cosi Ella il chiama), nel quale esse son fabbricate, e dal quale è affatto sbandito tutto ciò che non fa stordire di maraviglia e strabiliare e cader morto, e tutto ciò che non esce