Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. II, 1912 – BEIC 1873537.djvu/309

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quel che può nuocere, e tacciono quel che può giovare. Dal che si comprende chiaro non esser essi piú nemici miei che suoi, ed apparisce palesemente che vorrebbon veder garbuglio e prender diletto de’ nostri contrasti, come invidiosi che sono e di nulla caritá verso il prossimo loro.

Ora non piú parole: concludasi solo ch’io fermamente confido che V. S., essendo adesso per mezo del presente foglio stata informata da me della mera veritá del negozio, riconsulterá il tutto piú adagio e con piú maturitá, e conoscerá quello ch’a primo sguardo non avea per la fretta conosciuto. E se in ciò ho io detto piú che non facea di bisogno al buono intendere di V. S., perdoni Ella questa superfluitá all’importanza del fatto. Mentre io per fine le resto, baciando affettuosamente le mani.

Di Parma, 2 giugno 1619.

XL

Al signor Luciano Borzoni


Piú che sospetti, ora ha la prova certa che il Borzoni lo ha ingannato per compiacere al Marino.

Il Furio Camillo del signor Cebá è giá finito un mese fa di stamparsi, se non mente una copia compita ch’io n’ho comprata qui dal Viotti. Perciò io m’era disposto di scrivere a V. S. per sollecitare e ricordar che non si mancasse di far succedere a questa impressione quella del Mondo nuovo, come ultimamente m’era stato da lei promesso. Ma ora mi sopraviene un’altra sua lettera con nuova scusa, la quale è che il lavorante della stamperia è impazzito. Questa storia, se è vera, non viene a scolpare se non solo la cessazion d’alcuni giorni o settimane: ma a scolpar la futura so che non potrá stirarsi per modo nessuno, dovendo la stamperia pigliare operario novello. Poiché, quando per l’avvenire cotesto torcolo imprimesse altri volumi ed il mio no, la colpa non sarebbe della pazzia di colui ma