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XLIV

Al signor duca Lottar io Conti, a Poli


Lo ha atteso invano a Parma durante le feste natalizie: perciò gli invia con ritardo gli augúri.

Di Roma, 4 di gennaio 1620.

XLV

Al signor Pietro Magnani, a Parma


Del caro vivere a Roma, e dei confini in cui vanno ristretti gli obblighi dei padri verso i figliuoli.

Ricevetti ier sera per la posta la rimessa de’ novanta ducatoni che V. S. ha insino a qui riscossi per me, inclusa in una lettera del 19 d’ottobre; ed ebbila appunto quando bisognava: perché due o tre giorni ch’essa mi fusse giunta piú tardo, m’avrebbe trovato disdinarato, per cosi dire, affatto, stante il gran dispendio del viver di Roma, il quale per li forastieri non è massaresco o casalengo, ma è giornale ed alla minuta. E dico «forastieri» intendendo di quei soli che v’abitano per poco tempo, come fo io che sto in cammere locande; e non di quegli altri che, quandunque sian nativi, vi fanno stanza ordinaria: a tutti i quali la cittá è patria commune, perché ancor essi possono al paro de’ cittadini farvisi a debita stagione le lor provisioni annuali.

Non so poi se V. S. dica dadovero o se voglia meco la burla, mentre mi riprende ch’avendo io un figliuolo come ho, il quale per la sua sciagura non può ereditar miei beni paterni, spenda tutta la mia entrata di Parma, che è vitalizia, senza avanzarne in capo all’anno alcuna parte per peculio del fanciullo; soggiungendomi oltracciò ch’io, in cosi lare, manco all’obligo che m’impon la natura, la qual vuole che i padri pensino piú per li figliuoli che per se stessi, o almeno vi pensino al paro. Se V. S. burla con me al solito, io non rispondo altro se non