Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. II, 1912 – BEIC 1873537.djvu/319

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nasce dalla diversitá del vero (il qual non patisce mai pluralitá, anzi è sempr’uno), ma procede a piú delle volte dalla diversitá delle scuole, potendo il sindicante avere impreso da una ed il sindicato da un’altra.

Io ho imparato la teorica dell’etica dai libri e la prattica da Roma; e V. S. ha imparato la sola prattica da Parma. In Roma io feci la mia prima gioventú: vi fo la mia ultima vecchiezza. E se ben l’etá di mezo la spesi ancor io tutta in Parma, confesso che quella cortegiania e che quel trattare non mi si potette mai di tal modo attaccare ch’in Lombardia io vivessi altro che romanamente. Qual delle due dette scuole sia la migliore in tal materia, io non entro ora a decidere, ché non tocca a me, ma lascio ciascuna al suo onorato luogo. Bastami solo che V. S. vegga che, quand’io nella urbanitá e nella cortesia al presente errassi, errarei colla filosofia morale e colla corte romana; e V. S. farebbe bene coi parmegiani. Il qual mio errore, se dalla S. V. è stimato veramente per tale, non merita, secondo lei, ch’io sia esaudito né presto né tardi circa la dimanda, che le ho fatta, ch’Ella mi informasse del sudetto signor Plimarse. Ma da che cosa si cagiona che V. S., non esaudendomi adesso, si riserba ad esaudirmi un’altra volta? Forse il mio atto, ch’ora è tristo, sará diventato allora buono? o pure il giudizio di lei, ch’ora è buono, sará diventato allora tristo? Niuna delle due cose è giá da dire. Adunque conosca V. S. esserle necessario ch’Ella, per non cadere in contradizion propria, si riconcilii prima con se medesima intorno all’opinion sua; e poi, accordatasi, accusi o scusi me di quello che le ho chiesto. Perché a questo modo, se io avrò torto, la mia domanda si spaccerá da lei debitamente per vana; e se avrò ragione, s’adempirá al promesso tempo.

Con che per fine bacio a V. S. le mani.

Di Roma, [dopo il 1620J.