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XLIX

Al signor Ferrante Unghero, a Matera


Gli ha scritto; ma i materani hanno il vizio d’aprire le altrui lettere loro affidate, di leggerle, e poi di lacerarle.

Di Roma, 22 di settembre 1621.

L

Al signor don Virginio Cesarini, in Roma


Manifesta la sua gratitudine per avergli il Cesarini ceduto generosamente un quinto della sua «pension di Spagna», ossia cento ducati annui.

Di casa, 2 maggio 16(23?].

LI

A monsignore Giovanni Altieri, vescovo di Cammerino


Si congratula del suo felice arrivo a Camerino e gli augura il cardinalato.

Di Roma, 4 ottobre 16(24] .

LII

Al signor Francesco Bascapé, a Ferrara


A proposito della sua lettera apologetica al Marino, definisce che cosa si debba intendere per falsificazione d’uno scritto letterario, e pone in ridicolo Claudio Achillini, indicato con l’ironico pseudonimo di * dottor Graziano».

M’ha fatto alquanto ridere l’avviso datomi frescamente da V. S., cioè quel Buffai macco de! dottor Graziano abbia detto la mia copia esser falsa, la qual va attorno manoscritta, della lettera soddisfattoria ch’io giá inviai al cavalier Marino in Francia circa il pretender egli che da me sia stato mentovato il suo nome nel mio Mondo nuovo con detrazzione e con maldicenza. M’ha


==Pagina:Marino,_Giambattista_–_Epistolario,_Vol._II,_1912_–_BEIC_1873537.djvu/321 fatto, dico, esso avviso ridere un pochetto in considerar l’ostinata goffezza del dottore ed in veder ch’egli, a dispetto del mondo voglia pur sempre essere simile a se med simo, cioè un uomo indocibile ed un Narciso delle proprie opinioni, non ostante l’accorgersi ch’in tale amore egli non abbia rivale alcuno, che sia degno di nome d’uomo, se non genterelle dell’istessa fatta con lui.

La detta mia copia, che va oggi per le mani, è stata veramente tratta non dalla lettera ch’andò a Parigi, ma dalla minuta che restò appresso di me. E quantunque dalla lettera si trova variare in alcune poche parole, non perciò è falsa, come Graziano pretende e predica (il quale dal Marino ne tiene un transunto ad verbutn), ma falsitá è il dir eh ’essa sia falsa. La ragion di che si è che la fedeltá ed infedeltá degli scritti non consiste ne’ vocaboli, ma ne’ sensi e ne’ concetti. Onde, se uno originai diceva, verbigrazia: «Antonio andò per questa via», e poi la copia dice: «Antonio camino per questa strada», ciò non si potrá dire esser falsificazione se non impropriamente e nella semplice massa verbale. Poiché quelle parole seconde, benché sieno diverse dalle prime, pur tutte insieme significano l’azzion d’Antonio non punto alterata. Ma propriamente falsificazion sarebbe quando si dicesse : «Antonio non andò per questa via ma per un’altra». Perché ciò, oltre l’alterar le parole prime, altera l’operazion significata, che è quel ch’importa. Vero è che si fatta licenza di mutar le parole o d’ accrescerle

0 di scemarle non si concede a’ puri copisti delle scritture o a’ notari o ad altre sorti di curiali, ma solo agli autori di quelle,

1 quali sempre nel riscrivere sogliono migliorar qualche vocabolo. Cosa che è tanto naturale ed usitata, che occorre ogni giorno a chiunque scriva e, dopoi scritto, ricopi.

Questa perfidiata opinion di Graziano, con tutto ch’egli sia dottore in legge e che faccia anco del filosofo, è tanto erronea e pericolosa che costrigne, chiunque la volesse tenere, ad affermar per vere tre conseguenze stranissime e disorbitanti, le quali da quella nascono. La prima è che, secondo lui, tutte le traduzzioni de’ libri bisognerebbe dir che fussero falsitá; perché,