Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. II, 1912 – BEIC 1873537.djvu/331

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Ma ciò non mi deve essere ascritto ad arroganza, quasi che io volessi presumere di dar l’altrui. Perocché, si come chi sacrifica, quantunque non doni a Dio nulla del proprio (perché da prima tutte le cose son di quello), pure, se divotamente il fa, n’è gradito ed accettato; cosi io, quantunque offerisca a V. M. non quel ch’è mio ma quel ch’è suo, pure, poiché lo fo con riverentissimo amore e perché il tutto conosco e confesso, debbo essere dalla generosa magnanimitá di lei, se non affatto gradito, almeno non affatto rifiutato. Alla quale Nostro Signore Iddio conceda tanta felicitá quanta le ha conceduto potenza, acciocché lungamente viva per universal difesa della santa fede cattolica. Mentre io per fine umilissimamente la riverisco.

Di Roma, 16 aprile 1628.

LXI

Al signor duca Giovanni Antonio Orsini, a Nerola


H a scritte altre poesie, che mostrerá all’amico.

V. E. mi chiede novelle della mia musa, alla quale attribuisce nomi e titoli si congiogali e matrimonieschi, che mostra di credere ch’essa sia mia moglie. Ma, perché nell’altra sua lettera antecedente disse che quelle dèe erano tutte meretrici, qui vien consequentemente ad inferire ch’io abbia sposato (con riverenza) una puttana, e pian piano mi vien dando del becco su per la testa. Duellare io coll’ E. V. non vorrei, non essendo la mia smarra degna di tant’alto cimento; e dalla altra parte non volentieri resto ingiuriato. Che farò dunque? confesserò il puttanesimo e negherò il maritaggio? Poiché veramente ella non è mia sposa, ma è mia concubina, che «druda» direbbe il signor Balducci. Pure, qual essa si sia, si porta meco assai bene e non è sterile; onde, nel tornar che V. E. fará a Roma, mi

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troverá cresciuto di famiglia, avendomi quella partoriti alcuni nuovi figliuoli. Questi stanno ora aspettando la venuta di lei per certificarsi, al lume del suo purgato giudicio, se essi sian perfetti parti o pur siano sconciature, ed anco per esser da lei