Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. II, 1912 – BEIC 1873537.djvu/345

Da Wikisource.

circoscrivo tutto quanto, si come umile ed ubbidiente servo che sono, quantunque indegno.

Bacio per fine a V. S. le mani.

Di Roma, 13 febbraro 1635.

LXXV

Al signor Silvio Maggi, a Napoli


Non è in collera con lui, per quanto ne abbia il diritto.

Mi significa V. S. che la mia lettera le sia paruta alquanto gridereccia e crucciosa, ed appresso mi fa veemente instanza ch’io le dica la cagione perché io sia sdegnato seco. Al che rispondo che non si può assegnar causa di quello che non è effetto; e conseguentemente, non avendo io sdegno, non posso dirle donde il mio sdegno nasca. Poiché del niente non so parlar come se esso fusse qualche cosa, se bene il seppe fare il Coppetta nel suo capitolo di No?icovelle , rubbacchiatogli poi da un certo Manzini. Credo bene all’incontro che, si come io perché non veggo l’originato non so investigar l’origine, cosi V. S. perché vede l’origine vorrebbe investigar l’originato; e fingendo d’esortar me ch’io discorra a posteriori , discorre Ella a priori. Nel che veramente s’inganna e mostra di non aver serbata in mente tutta la fisica, ancorché tutta l’abbia studiata, non ricordandosi che l’agente non opera dove non trova disposizion di soggetto e che, quando la resistenza della materia è maggiore che non è l’attivitá della forma, non ne segue produzzione. «Cum sancto sanctus eris, et cum perverso perverteris». Parlo con un filosofo, e filosoficamente mi son lasciato trasportare a discorrere.

Ma ritorno a favellare spianatamente ed alla schietta, dicendo che, quantunque V. S. dal suo lato m’abbia dato occasion ch’io m’addiri seco, io però dal mio (il quale son legno verde e non m’accendo si facilmente ad ogni vampa) non l’ho mai fatto, c’né la naturai mia mansuetudine me n’ha tirato indietro