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LXXVII •

Al signor Rodrigo ***

Risposta prima

Esorta l’amico a non pubblicare alcune rime, e discorre del marinismo.

Ho ricevuto la lettera di V. S. insieme colle sue rime per mano del padre provinzial Conturso, il quale ha passati meco a bocca alcuni suoi caldi uffici in raccomandazione d’essa lettera e d’esse rime, pregandomi che all’una io risponda e l’ altre consulti.

Nella lettera V. S. s’ abbassa insino al pregarmi per l’amor di Dio ch’io le dica sinceramente il mio parere intorno alle dette poesie, cioè se esse sieno per riuscire tra le migliori della nostra lingua o pur tra le mediocri, acciocché di qui Ella possa risolvere a qual delle due luci abbia da concederle, se a quella della stampa o a quella dell’incendio. Ond’io non voglio in modo alcuno tradir tanta confidenza (ché non si convien ad uom da bene né a cristiano), ma farò per prieghi quel che soglio far per usanza, che è il parlare appunto con sinceritá e senza simolazione; massimamente trattandosi dell’ opere d’ un giovane (ché tale io credo Ella sia), al quale i consigli non giungono tardi, non gli mancando tempo da eseguir quegli.

La domanda di V. S. pare a primo aspetto esser una, ma in effetto è due, o almeno contien due membri molto tra sé differenti. Ché altra cosa è il giudicar se una poesia sia in sé perfetta, ed altra è il giudicar s’ella sia per ottener nell’opinion del mondo luogo conveniente alla sua perfezzione. A far l’un giudizio basta aver finezza di gusto, ma a far l’altro bisogna quasi avere spirito di profezia.

Credono alcuni (e di questa sentenza fui un tempo ancor io) che la fortuna non abbia dominio veruno sopra i lavori del nostro ingegno, ma che alla bontá degli scritti sempre segua di necessitá l’applauso di chi legge. Ma invero essi s’ingannano di gran lunga e m’ingannavo io stesso con loro. Molte