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LETTERE 353


Presso a poco io m’immagino chi sia la persona per la qual V. S. illustrissima vuol costui; che è quella giovane magra e sgroppata, tuttoché nel resto non sia brutta, colla quale piú volte io mi ricordo aver parlato. Questa io stimo piú tosto furba che spiritata, mentre, essendo sanissima e potendo vivere di fatica, vive di limosina ed usa il demonio per capital della sua industria. Nella qual mia credenza tanto piú mi confermo quanto che, un pezzo fa, ne vidi costi una sensata sperienza in quella piazza che è davanti a Sant’Angiolo de’ benedettini. Questa fu che, stando ella inginocchiata ai piè d’un monaco vecchio, che per lo spazio d’un ora continova l’aveva esorcizata in quel luogo per non aver potuto tirarla in chiesa, io me l’accostai in presenza del popolo che v’era; e, mostrandole chiuso il pugno destro, dentro al qual teneva ascosa una persica, le dissi fortemente: — Bacia, maladetto spirito, questa sagra reliquia ch’io ho qui in mano. — Al che ella, con aguzzar gli sguardi e con innarcar le ciglia e farsi deforme, rispose da parte del diavolo: — Signor no, che non la vo’ baciare, perché non amo le cose sante. — Almeno — replicai io — indovinami di chi essa sia reliquia. — Questa è — disse ella — un osso di sant’Angiolo. — Oh buono! — ripresi adir io. — Se tu fussi demonio, saperesti che gli angioli non hann’ossa, poiché angiolo saresti tu medesimo, se ben de’ neri. Ma tu realmente non sei altri che quel che si vede, cioè una femminuccia, ignorante si, ma maliziosa, la quale, o per non lavorare o per altri tuoi disegni e rispetti, t’infingi indemoniata. Che ciò sia vero, ravvediti che questa non pur non è reliquia di sant’ Angelo, ma né meno è reliquia, ma è una frutta d’albero. — Ed in cosi dire apersi la mano e mostrai la bicoccola.

Il popolo, che della sciocca divinazion dell’osso avea da prima cominciato a ridere, quando vide la persica, rinforzò maggiormente il riso, ed alcuni fanciulli proruppero a liete grida non senza qualche fischio. Il monaco, che veramente era sant’uomo, ma semplice ed oltra modo austero e zelante, vedendosi da me

interrotto e tenendosi per tanto ridere mezo burlato ancor esso, disse verso me, ma cortesemente: — Signore, le cose di Dio non


G.B. MARINO, C. ACHILLINI e G. PRETI, Lettere - II.