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TOMMASO STIGLIAMI

XCII

Al signor Marcello d’Afflitti


Continui a diffidare d’un tale, indicato col nome di Mustafá, che è sempre uno scellerato, anche quando sembra che compia un’azione buona, giacché indubbiamente lo move a ciò un fine perverso.

[Di Roma, fra il 1642 e il 1647?).

XCIII

Al signor cardinale Orsini, a Bracciano


Sui vv. 34-6 del trentesimoterzo del Purgatorio.

Dalla lettera di Vostra Eminenza del 3 di settembre veggo il suo desiderio di voler sapere che cosa secondo me significhi il «temer suppe», che dice Dante nel trentesimoterzo canto del Purgatorio .

Sappi che ’l vaso che ’l serpente ruppe fu e non è. Ma chi n’ha colpa creda che vendetta di Dio non teme suppe.

Vengo al pronto ubbidirla senza alcuna cerimonia, quantunque non senza alcuna titubanza, sapendo la gran prattica di lei in quell’oscuro libro.

Gli spositori hanno variamente inteso il detto luogo, ma io credo che nessun di loro si sia apposto al vero sentimento, avvenga eh ’alcuno l’abbia di lontano come odorato e non abbia poi saputo spianarlo; si che anco il commento è restato bisognoso d’interpretazione. L’opinion mia è che qui l’autore alluda ad uno antichissimo uso superstizioso ch’ebbero prima i troiani, poi li romani ed appresso i cristiani. De’ troiani Virgilio nella maggior opera, al quinto libro, finge che, doppo avere Enea offerto la vivanda all’ombra d’Anchise nel celebrargli l ’esequie annuali, esce fuor della sepoltura una serpe e, mangiato il cibo, se ne rientra. La qual da’ troiani vien crecV f o essere stata essa ombra del morto apparita in tal figura.