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di terribile: è l’annientamento di tutto l’uomo. Ma la ragione umana non può rinunziare all’Assoluto: e questo lo trova allora in cielo, in un Dio che gli promette l’immortalità individuale. Abituato all’obbedienza, il cittadino si piega allora all’arbitrio straniero d’un Dio: la sua fiacca volontà non opera, ma spera in una realizzazione del suo ideale, che è posto lontano, alla fine dei tempi, in un mondo venturo. E questa realizzazione non è voluta come una conquista, ma mendicata come una grazia, comprata con l’obbedienza e con le opere: la pura religione morale del mondo ellenico diventa una religione trascendente, statutaria, ecclesiastica, corrotta. Qui abbiamo già i tratti essenziali di quel medesimo quadro che ritorna nella Fenomenologia, là dove Hegel tratteggia quello stadio della religione che egli chiama della coscienza infelice: in cui lo spirito, estraniandosi a sè stesso, trasfigura in una divinità esteriore il proprio eterno e serba per sè i caratteri dell’esistenza finita, che deve essere sottomessa e sacrificata al suo ideale sopraterreno. Il Cristianesimo è qui apertamente rappresentato come una religione di decadenza: il suo Dio infinito e trascendente è la triste e vuota unità, che simboleggia la negazione della vita. Se in mezzo a così profonda abbiezione Cristo appare come un liberatore, ciò è perchè egli ebbe un vero e profondo senso della sua unità con Dio, cioè col tutto, e così aprì la via a quella riconciliazione dell’uomo col tutto, che fu l’opera dell’evoluzione della coscienza cristiana.

Ed in quel sistema di Etica, che è la prima redazione del sistema hegeliano, stesa a Jena nel 1802, la forma più alta della vita non è la religione, ma lo Stato. Qui lo Stato, inteso nel senso antico come una comunione di vita collettiva, è la vera e suprema realizzazione dello spirito assoluto, è Dio sulla terra: la realtà morale dello Stato è chiamata l’assolutamente assoluto, il divino, ciò rispetto a cui la filosofia non può pensare nulla di superiore. Hegel qui non sente affatto il bisogno di porre sopra la vita collettiva quelle manifestazioni che più tardi comprenderà col nome di spirito assoluto: l’arte, la religione e la filosofia. La religione non è qui altro che l’intuizione del carattere divino dell’unità morale di un popolo: quest’unità rappresentata come individuo è il Dio di quel popolo.

Più tardi Hegel pose, è vero, le tre forme dello spirito as-