Pagina:Martinetti - Saggi e discorsi, 1926.djvu/18

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petua in tutti coloro che ne comprenderanno il senso alto e secreto. Così anche la conoscenza religiosa non può esprimere l’alta realtà spirituale che ne è l’oggetto se non traducendolo in un’immagine di cose sensibili: ogni concezione religiosa, sia essa l’immagine poetica d’un mito primitivo od un astratto sistema di dogmi teologici non è mai altro che un tentativo più o meno inadeguato di rendere e fissare un’intuizione in sè inesprimibile, una traduzione, nei termini del pensiero discursivo, d’uno stato d’animo che non può venir tradotto in nessuna immagine ed in nessun concetto e che tuttavia è ciò che dà alle immagini ed ai concetti dei miti e dei dogmi il loro contenuto e la loro verità. I grandi iniziatori religiosi sono stati sopratutto dei grandi creatori di simboli: non solo essi hanno vissuto in sè un’alta vita religiosa, ma hanno saputo far passare questa vita in coloro che li circondavano, hanno saputo comunicare agli altri la loro anima, dando così il primo impulso a quei vasti movimenti collettivi della vita religiosa che sono le religioni storiche dell’umanità.

Dire quali siano state le forme primitive sotto cui si rivelò allo spirito umano la vita divina, quali siano stati i fenomeni che apparvero ai veggenti delle età remote come immagini e rivelazioni viventi dell’infinito è così difficile come è ogni ricerca intorno alle origini: e la difficoltà non sta tanto nel raccogliere sia dall’osservazione etnografica e storica, sta dall’analisi delle religioni superiori attuali i documenti della vita primitiva, quanto nell’interpretazione psicologica di questi documenti, ossia nel vivificare intuitivamente dinanzi a noi quegli stati d’animo onde ebbero origine le prime forme della vita religiosa. Ma a questo riguardo, qualunque sia stata la parte dell’elemento animistico, così lussureggiante nelle forme degenerate della religione, un punto almeno sembra certo: ed è che la sorgente fondamentale della vita religiosa dovette in origine essere la contemplazione della vita e della natura esteriore. Anche oggi il sacro orrore che desta in noi la solitudine tenebrosa delle foreste o il silenzio delle solitudini alpine non è lontano dalla venerazione religiosa: ciò che noi diciamo sentimento del sublime non è in realtà che un sentimento religioso d’un grado inferiore. «Non è soltanto la solitudine, scrive il Guyau, che gli asceti dell’India andavano a cercare nelle valli dell’Imalaia e S. Antonio nella Tebaide e