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sofi, considerò l’opera propria come un rinnovamento apocalittico. Ciò non toglie tuttavia che noi possiamo con viva soddisfazione salutare come una riparazione tardiva questo iniziale riconoscimento dell’opera d’un uomo che fu senza dubbio una delle più elette, delle più vigorose, delle più significative personalità filosofiche del secolo passato; e dal contatto della sua speculazione condotta con la più implacabile coerenza e nel tempo stesso ispirata alle idealità più elevate riprometterci una salutare influenza sul pensiero contemporaneo. Quest’azione si è fatta viva negli ultimi anni sopratutto in rapporto alle sue dottrine morali e religiose, nelle quali lo spirito dell’età nuova, con le sue ravvivate tendenze idealistiche e religiose, ha ritrovato in gran parte se stesso; anche in Italia è specialmente sotto questo aspetto che il suo pensiero è stato messo in luce nei saggi che ne hanno dato Aida Schenardi ed Odoardo Campa1. Ma più importante delle teorie morali e religiose è nello Spir la parte più propriamente speculativa, quella che potremmo dire la sua metafisica; le sue teorie sul principio d’identità, come sorgente di tutte le forme a priori, sul valore obbiettivo del principio d’identità, sulla costituzione deceptiva del mondo empirico contengono una soluzione originale e geniale dei massimi problemi speculativi che merita, da parte di ogni spirito meditativo, la più seria attenzione. Come altamente opportuna e commendevole è perciò da considerarsi la ripubblicazione in veste italiana (con le aggiunte predisposte dall’autore per una seconda edizione che poi non venne) dei «Saggi di filosofia critica» edita a Parigi nell’anno 1887, una delle ultime opere del nostro autore, la più atta a servire d’introduzione alla conoscenza del suo sistema; alla quale ho ben volentieri accettato di premettere queste parole d’introduzione come segno della mia alta reverenza per la personalità nobilissima dell’autore.

La maggior difficoltà che si oppone alla diffusione della concezione speculativa dello Spir sta nel difetto della sua esposizione; la quale se è sempre, nei particolari, chiara, abbondante

  1. Si veda specialmente di quest’ultimo la traduzione della seconda parte dell’opera Morale e religione (W. 1899, II, 86-146) nella collezione «Cultura dell’anima».