Pagina:Mastriani - La cieca di Sorrento 1.djvu/164

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zienza il marchese Rionero avea dovuto insegnare a scrivere alla diletta figliuola, e con quanta perspicacia la tapinella seguiva gl’insegnamenti del padre, il quale aveva fatto venirsi da Parigi un alfabeto a rilievo, affinchè sua figlia avesse appreso a conoscere la forma di ciascuna lettera. E in pochi anni Beatrice fu nello stato di scriver benissimo, benchè priva del piacere di rileggere quello che aveva scritto, tranne che non sel facesse leggere da Geltrude.

All’età di 16 anni ella avea cominciato il suo giornale e però un numero grandissimo di quelle pagine era già ripieno di caratteri. Impossibil sarebbe stato il diciferare i primi fogli di quell’opera singolare; imperocchè le righe di caratteri e le lettere di ciascuna parola si aggrovigliavano o comminavano a sghembo in tutt’i versi, ed alcune erano accavallate le une sulle altre. Ma l’assuefazione dello scrivere raddrizzò ben presto la mano della fanciulla, e le righe si andarono livellando a poco a poco, finchè di presente non si potea mica supporre essere scrittura di cieca quella che in simmetriche linee e con bel carattere copriva gli ultimi fogli scritti del giornale1.

  1. A coloro che trovassero inverosimile questo giornale di Beatrice ricorderemo non soltanto Omero e Milton, ma benanche il Trattato della tranquillità dell’Anima scritto da Carlo Ferdinand, nativo di Bruges, poeta, musico, filosofo ed oratore, quantunque cieco fin dall’infanzia: fu professore di belle lettere in Parigi. Ricorderemo anche le opere del cieco Bonciaro, scrittore italiano del XVI secolo, che dal Fontanini venne chiamato il Cieco che vide molto; accenne-