Pagina:Mastro-don Gesualdo (1890).djvu/288

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Don Ninì cercò una sedia, colla testa in fiamme, il cuore che gli batteva davvero. Infine si appollaiò sul baule, cercando qualche frase appropriata, che facesse effetto, mentre lei bruciava un pezzettino di sughero alla fiamma del lume a olio che fumava.

Sopraggiunse un’altra visita, Mommino Neri, il quale trovando lì Rubiera diventò subito di cattivo umore, e non aprì bocca, appoggiato allo stipite, succhiando il pomo del bastoncino. La signora Aglae teneva sola la conversazione: un bel paese... un pubblico colto e intelligente... bella gioventù anche...

— Buona sera, — disse Mommino.

— Ve ne andate, di già?...

— Sì... Non potrete muovervi qui dentro... Siamo in troppi...

Don Ninì lo accompagnò con un sogghigno, continuando a suonare la gran cassa sul baule colle calcagna. Ella se ne avvide e alzò le spalle, con un sorriso affascinante, sospirando quasi si fosse levato un peso dallo stomaco.

Il baronello gongolante incominciò. — Se sono d’incomodo anch’io... — E cercò il cappello che aveva in mano.

— Oh no!... voi, no! — rispose lei con premura, chinando il capo.

— Si può? — chiese la vocetta fessa del tirascene dietro l’uscio.