Pagina:Mastro-don Gesualdo (1890).djvu/433

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Donna Giuseppina si era perfino trasformata in volto, appuntando in faccia a questo e a quello gli occhi come due spilli, masticando un sorriso con la bocca nera. Cacciò indietro del tutto il marito, e si prese tutto per sè il cugino Motta.

— Sì, il rimedio c’è!... c’è! — E stette un po’ a guardarlo fisso per fare più colpo. Poscia, tenendo stretta la borsa fra le mani gli si accostò con una mossa dei fianchi, in confidenza:

— Si tratta di far prendere le terre a gente nostra.... sottomano.... — disse il barone.

— No! no!... Lasciate che gli spieghi io... Le terre del comune devono darsi a censo, eh? a pezzi e a bocconi perchè ogni villano abbia la sua parte? Va bene! Lasciamoli fare. Anzi, mettiamo avanti, sottomano, degli altri pretendenti.... dei maestri di bottega, della gente che non sa cosa farsene della terra e non ne caverà neppure i denari del censo. Ci hanno tutti lo stesso diritto, non è vero? Allora, con un po’ di giudizio, anticipando a questo e a quello una piccola somma.... Loro falliscono in capo all’anno, e noi ci pigliamo la terra in compenso del credito. Avete capito? Bisogna evitare per quanto si può che ci mettano mano i villani. Quelli non se lo lasciano scappare mai più il loro pezzetto di terra. Ci lasciano le ossa piuttosto!

Don Gesualdo si alzò di botto, colle narici aperte,