Pagina:Mastro-don Gesualdo (1890).djvu/477

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Mèndola, don Nicolino, lo stesso canonico Lupi che s’era cacciato nella baraonda a fin di bene, strillavano inutilmente: — Ferma! ferma! — Il barone Zacco, non avendo più le gambe di prima, faceva piovere delle legnate, a chi piglia piglia, per far intender ragione agli orbi.

— Ehi? Che facciamo?... Adagio, signori miei!.. Non cominciamo a far porcherie! In queste cose si sa dove si comincia e non si sa...

Come molti avevano messo orecchio al discorso di sfondar usci e far la festa a tutti i santi, la marmaglia ora pigiavasi dinanzi ai magazzini di mastro-don Gesualdo. Dicevasi ch’erano pieni sino al tetto. — Uno ch’era nato povero come Giobbe, e adesso aveva messo superbia, ed era nemico giurato dei poveretti e dei liberali! — Coi sassi, coi randelli — due o tre s’erano armati di un pietrone e davano sulla porta che parevano cannonate. Si udiva la vocetta stridula di Brasi Camauro il quale piagnucolava come un ragazzo:

— Signori miei! Non c’è più religione! Non vogliono più sapere nè di cristi nè di santi! Vogliono lasciarci crepare di fame tutti!

All’improvviso dal frastuono scapparono degli urli da far accapponare la pelle. Santo Motta malconcio e insanguinato, rotolandosi per terra, riescì a far fare un po’ di largo dinanzi all’uscio del magazzino. Al-