Pagina:Mastro-don Gesualdo (1890).djvu/59

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vuol mettersi anche a speculare sulle terre... L’appetito viene mangiando... Ha un bell’appetito... e dei buoni denti, ve lo dico io!... Se lo lasciano fare, di qui a un po’ si dirà che mastro-don Gesualdo è il padrone del paese!

Il marchese allora levò un istante la sua testolina di scimmia; ma poi fece una spallucciata, e rispose, con quel medesimo risolino tagliente:

— Per me... non me ne importa. Io sono uno spiantato.

— Padrone?... padrone?... quando saran morti tutti quelli che son nati prima di lui!... e meglio di lui! Venderò Fontanarossa; ma le terre del comune non me le toglie mastro-don Gesualdo! Nè solo, nè coll’aiuto della baronessa Rubiera!

— Che c’è? che c’è? — interruppe il notaro correndo al balcone, per sviare il discorso, poichè il barone non sapeva frenarsi e vociava troppo forte.

Giù in piazza, dinanzi al portone di casa Sganci, vedevasi un tafferuglio, dei vestiti chiari in mezzo alla ressa, berretti che volavano in aria, e un tale che distribuiva legnate a diritta e a manca per farsi largo. Subito dopo comparve sull’uscio dell’anticamera don Giuseppe Barabba, colle mani in aria, strangolato dal rispetto.

— Signora!... signora!...

Era tutto il casato dei Margarone stavolta: donna