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Pagina:Meditazioni di un brontolone - scritti d'arte e di letteratura (IA gri 33125010115745).pdf/103

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Raffaello da Urbino 89

gagna, e poi in Jacopo da Turrita e in Paolo Cavallini, e poi protrarsi, più pura e sentimentale, nel Beato Angelico, in Simone Memmi e in Fra Giovanni da Fiesole; meno rimarchevole, ma pure evidente, in Timoteo da Urbino e in Pietro Vannucci da Perugia.


Ora la lotta fra la fede e la ragione, fra il cielo e la terra, che serpeggiava di già in tutta la vita italiana, dal principio alla metà del secolo decimoquarto, finì con la vittoria completa della forma pagana durante il periodo dell’umanesimo, alla fine del quale si produsse il secondo rinascimento.

Dal tenero e melanconico Petrarca, dal gioviale e acuto Boccaccio, dall’elegante Lorenzo Valla, da Ambrogio Traversari, da Leonardo Aretino, da Bracciolini, via via, fino al Poliziano, al Poggio Filelfo, al Platina, a Pico della Mirandola, al Panormita, al Ficino, al Bessarione, al Pontano, al Di Costanzo, al Guarino passando pel filologo Aldo Manuzio, per l’antiquario Pomponio Leto, per Flavio Biondo, padre dell’archeologia, per oltre un secolo, in tutta Italia, non si attese ad altro che a disotterrare, a pubblicare, a commentare, a illustrare, ad adorare i volumi e i monumenti dell antica sapienza greco-latina. Allora la bellezza della forma tornò a risplendere ed ebbe nuovamente culto ed onori e, dal campo della critica e delle lettere, passò ad irradiare quello dell’arte.

Fu una moda generale e furiosa che invase tutto un popolo e che, per un secolo e mezzo, lo trasse verso