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La «Mandragola» di Niccolò Machiavelli | 359 |
morale cristiana ai bisogni e agli appetiti di coloro die pagano la complicità di lui. - Ma tutto il comico di questo carattere a me sembra ammirevolmente diffuso nel monologo con cui Fra Timoteo apre l’atto v.
è di carattere e di intreccio, è una vera e propria azione vivacissima di movimenti e di situazioni, animata da forze interiori, che ci stanno come forze o istrumenti, e non come fini e risultati. Il carattere è messo in vista vivo, come forza operante, non come qualità astratta. Ciò che di più profondo ha il pensiero esce fuori sotto le forme più allegre e più corpulente fino della più volgare e cinica buffoneria, come è il San Cucù e la palla di aloè.»
E a questa stessa opinione si accosta il Villari il quale crede (lib. II, cap. 10) che il Machiavelli abbia passato il segno e varcata la linea estetica nella dipintura del carattere di Fra Timoteo. Il Perfetti (nella prefazione ricordata) afferma che l’ipocrisia di Fra Timoteo è più intrinseca dì quella di Tartufo, è l’arte sua, il suo mestiere quotidiano.
Taluni dei menzionati scrittori, e specialmente il Villari, fanno delle grandi riserve circa alla moralità del carattere di Fra Timoteo e sulla moralità della commedia: e di ciò ragioneremo a suo luogo quotidiano.
I soli De Amicis e Graf fra gli autori che di questa commedia scrissero in italiano e fra gli stranieri il Lóise (Histoire de la poesie mise en rapport avec la civilisation) e il Ruth, scostandosi da tutti e sviluppando, di là assai delle intenzioni del Ginguenè, le parole di questo da noi sopra riferite, affermano che Fra Timoteo non è un’ipocrita: stiracchiando e contorcendo - almeno questa è l’opinione mia - il senso delle parole che il Machiavelli mette in bocca al suo frate. Anzi, a leggere le parole adoperate dal Ruth, nel profondo e sapiente esame che egli fa dei caratteri della commedia del Machiavelli emettendole a confronto con quelle del Graf e specialmente con quelle del De Amicis, precisamente per ciò che riguarda Fra Timoteo, si sarebbe tentati di credere che i due ultimi avessero dinanzi agli occhi, allorché scrivevano; il testo del tedesco. Ma, checché ne sia di ciò, ho detto che quei critici hanno allargato l’intendimento del Ginguenè perchè questi dice: «Il n’est ni débauché, ni mime trop hypocrite», il che vuol dire che un po’ d’ipocrisia nel Fra Timoteo il Ginguenè l’ammette e la riconosce.
E, di fatti, come negare l’ipocrisia di Fra Timoteo? Se ipocrisia è falsare il vero, il presentare altrui come cosa onesta quella che, nell’intimo dell’animo, si stima cosa illecita; se ipocrisia è, come afferma Euripide, (Ippolito, III, 1ª) il giurare del labro mentre tace il core; se essa è, come dice Molière (Festin de Pierre, V. 2) «un vice privilegié qui, de sa maìn, ferme la bouche a tout le monde etjouit en repos d’une impunite souvaraine, per il che on He, à force de grimaces, une société ètroite avec tous les gens da parti.... et ceux que l’on sait ménte agir