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Pagina:Meditazioni di un brontolone - scritti d'arte e di letteratura (IA gri 33125010115745).pdf/391

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La «Mandragola» di Niccolò Machiavelli 377

esaminare un’altra quistione, non meno grave, intorno a questa meravigliosa opera d’arte.

Le anime timorate, gli uomini dai sottili scrupoli, in una parola gli ipocriti pudibondi della società moderna, nel segreto della loro vita privata, capaci di ogni più rea sozzura, all’aperto, giù per le vie, fieri e disdegnosi propugnatori del pubblico decoro, della pubblica moralità, della pubblica decenza, stretti contro il muro, quando un accurato esame abbia posto in luce le tante e rare bellezze onde splende il capo-lavoro comico del Machiavelli, gridano:

— Bene, sta bene, concediamo: la Mandragola è un capo-lavoro, ma... e la morale? Perchè dovrete convenire che ogni opera d’arte debbe avere un intento

    la fluidità, l’amenità insieme con la grazia e la naturalezza che vestono discorsi e facezie di nativi colori.»
          La quale asserzione - che in me destò profonda meraviglia, sapendo io per prova quanto fosse squisito il gusto del Ciampi e come serio il suo discernimento quanto sia lontana dal vero non è chi, ponendo a fronte le commedie del fiorentino e quelle del cantore d’Orlando Furioso, non possa di per sè vedere.
          No, il Machiavelli non peccò di fiorentinesca albagia quando disse nel Dialogo sulla lingua - se pure quel dialogo è opera sua - che l’Ariosto per mancanza di idioma non seppe mostrare troppa gentilezza di dialogo. Ammiratore caldissimo tanto del Machiavelli quanto dell’Ariosto, idolatra di ambedue questi colossi del cinquecento, io, che non sono nè fiorentino nè ferrarese, credo fermamente che il Machiavelli o chiunque sia l’autore del Dialogo sulla lingua avesse ragione.
          E perchè l’opinione mia può esser priva di autorità, io voglio confortarla con le parole di un valoroso critico e non toscano, il Camerini, il quale, op. cit. scrive cosi: «L’Ariosto con tutti i suoi sdruccioli, con tutto il suo stile lombardeggiante, fu ammirabile in certi intrecci, in certi caratteri e nell’abbondanza talora affettuosa del dialogo. Il Bibbiena con tutte le sue lungaggini spesso ingegnoso nell’intreccio e frizzante nello stile. Il Caro stupendo, al solito, nel dialogo degli Straccioni, i Cecchi, i Lasca e tutti i fiorentini ricchi di stile mottegevole e trattoso. Ma son tutti monotoni come il deserto: v’è qualche oasi, ma quanto bisogna camminare e patire per arrivarvi! La Mandragola è un giardino che la magia, amica a Messer Ansaldo, ha fatto sorgere, e che la natura, prendendo il mago il parola, ha ritenuto per suo.

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          «Quello che non si può non abbastanza lodare, e per sventura dà una certa luce, sebben falsa e sinistra anche all’oscenità, si è l’atticismo, la vivezza, il brio di uno stile impareggiabile, meraviglioso nelle Commedie, più meraviglioso nelle lettere famigliari. È una bellezza meretricia, ma che è vano negare.»