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384 | Meditazioni di un brontolone |
Cantici, non supponendo neppure per un istante che voi possiate ritenere per credibile la pretesa allegoria la quale, contro la cronologia, contro la logica, contro il senso comune, vi han voluto vedere gli interpreti ec-
Il Ranalli (Ammaestramenti di letteratura, Firenze, Le Monnier, 1858) da quel critico gretto, minuto, tutto circoscritto piccinino che egli è, tutto intento all’uso delle parole e nella miserevole sfera delle regole pedantesche c dei relativi esempli, nella parte II, libro IV, capitolo III, articolo 2° (che peccato che non ci sia possibilità di una più minuziosa partizione!) nell’oscenissima Mandragola non ammira che la lingua!!! E il contenuto? - O che cosa è mai il contenuto!- Per maestri come il Ranalli la parola è tutto, l’idea è nulla! K pure, anche sotto il riguardo dell’intreccio, della condotta, dei caratteri, della vis comica, le commedie dovrebbero essere considerate in un Trattato di letteratura!
L’egregio professor Guerzoni (Il Teatro italiano nel secolo XVIII, Milano, Fratelli Treves, 1876) afferma risolutamente che la Mandragola è la più originale delle commedie del cinquecento, ma crede anche che sia la più oscena, e, ad ogni modo, non si mostra pienamente persuaso che essa e le altre commedie di quella età, riproducano compiutamente la società del XVI secolo.
E pare che le bellezze della Mandragola abbiano ottenuto una certa indulgenza perfino dal Tommaseo, critico di gusto squisito, quando il suo intelletto non è ottenebrato dalle passioni del clericale fervente ed appassionato, poichè nello scritto Delle presenti condizioni d’Italia (nell’Appendice al Dizionario Estetico, Firenze, Successori Le Monnier, 1867) trova delle attenuanti alle offese recate alla morale e al pudore dal Machiavelli nella commedia di Fra Timoteo e di Messer Nicia.
Il dotto e acutissimo Giuseppe Ferrari (Corso sugli scrittori politici italiani, Milano, F. Manini, 1862) nella Lezione XI loda il Machiavelli come «degno di essere paragonato al Boccaccio,» quale «autore di commedie spiritosissime, di scherzi poetici e di ghiribizzi...» meriti che non impediscono all’illustre filosofo lombardo di trattare spesso assai poco gentilmente il Machiavelli politico, storico e pensatore.
Il Galanti (Carlo Goldoni e Venezia nel secolo XVIII, Padova, Fratelli Salmin, 1882) non sembra, nel capitolo III, disposto ad associarsi a tutto l'entusiasmo del Macaulay riguardo alla Mandragola, quantunque egli pure convenga che questa commedia è un capolavoro; ma egli crede che, come in tutte le commedie del cinquecento, anche in quella del Machiavelli manchino molte cose, ad esempio, la verità dell’azione. Però il Galanti riconosce che la Mandragola è commedia di carattere, onde esso è tratto all’entusiasmo dalla figura di Fra Timoteo, nel quale egli riconosce l’impronta dell’ipocrita. A lui, per altro, pare che la Cortigiana dell’Aretino possa contendere il primato alla Mandragola fra le commedie del cinquecento, e crede che nell’ Ipocrito del vigliacco scrittore di Arezzo s'abbiano a ricercare le origini di Tartufo.
L’illustre De Gubernatis (Storia dal Teatro Drammatico, nella storia universale della Letteratura, Milano, U. Hoepli, 1883) nella parte IV, capitolo 1° (Teatro italiano) favella a lungo della Mandragola, e ammette che essa sia, in grazia «della sua gran disinvoltura» una delle più belle commedie del cinquecento, ma al giudizio del Macaulay e del D’Ancona e degli altri che affermano essere essa la più bella di quell’epoca egli non sembra di potersi per verun conto acconciare.
Il dottissimo uomo, anzi, raffrontando due frammenti della Mandragorizsomene, ossia Mandragoreggiata, e cioè la Donna a cui fu data la mandragora, commedia greca di Alessi da Thurio con due passi della Mandragola del Machiavelli, e vale