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Pagina:Meditazioni di un brontolone - scritti d'arte e di letteratura (IA gri 33125010115745).pdf/404

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390 Meditazioni di un brontolone

sandro VI a quelli di Leone X e di Clemente VII, di Paolo III e di Paolo IV, fra le violenze e le turpitudini di Cesare Borgia e di Alessandro de’ Medici; fra le fraudolenti e sanguinose lotte di Francesco I e di

    De Amicis, il quale volle dimostrare invece l’imitazione della commedia classica negli autori del cinquecento.
          Non entrerò io a sentenziare fra i due valorosi campioni: dirò che li credo ambedue, per soverchio desiderio di chiarir vera la respettiva tesi, sospinti da giudizi troppo preconcetti e quindi ambedue in parte lontani, in parte vicini al vero. L’uno e l’altro si sforzano di contorcere e di piegare gli autori comici del cinquecento alla dimostrazione del proprio assunto, spesso dando prova più di sottigliezza d’ingegno che di imparziale indagine della verità.
          Ad ogni modo l’Agresti, per quanto citi qua e là, con una certa lode, il Machiavelli, non ha con lui buon sangue.... e, se bene ho capito, gl’intendimenti del critico napoletano, a causa del carattere di Fra Timoteo: non già perchè egli lo trovi brutto artisticamente, ma perchè moralmente lo trova brutto. L’Agresti si affanna a farci sapere che contemporaneo di Fra Timoteo fu Francesco di Paola.... e sembrerebbe, cosi, a occhio e croce, dalle sue parole che egli pretendesse quasi dal Machiavelli la creazione di un Fra Cristoforo anziché quella che al grande Fiorentino piacque di darci nel Fra Timoteo.
          Di che sdegnato l’Agresti imprende a «infermare alquanto il giudizio fermato da dotti critici antichi e moderni sulla Mandragola» la quale egli vuol dimostrare non essere la «somma fra le commedie del cinquecento perchè non è la sola commedia i cui caratteri sian copiati dal vero, e non è la sola che sia libera e che «ponga a nudo l’impostura religiosa.»
          Non è qui il luogo, nè questo il momento di ribattere quelle disgraziate pagine del libro dell’Agresti. Le argomentazioni sue sono cosi sofistiche, fiacche e slombate che davvero non vi sarebbe merito, neppure in un giovinetto appena licenziato dal Ginnasio, a buttarle giù di un soffio.
          Una cosa sola dirò ed è questa che nessuno ha mai pensato di negare che altri parassiti, altri frati impostori, e altri mariti sciocchi sian stati immaginati da altri autori comici del cinquecento, ma i più hanno pensato e pensano che la differenza fra quella turba di parassiti, di impostori e di sciocchi e il Ligurio, il Timoteo e il Nicia, stia tutta nel modo diverso con cui gli uni e gli altri furono creati e svolti. Tutta la questione è di maestria e di abilità diversa nell’immaginare, delineare e tratteggiare quelle figure: onde le tre dipinte dal Machiavelli, come quelle che, in giusta misura, rispondono a tutti i concetti direttivi dell’arte, sono riuscite creazioni sinteticamente perfette e mirabili, e hanno eccelso sulle file del volgo e sono state elevate a tipo, mentre tutte le altre son rimaste, perchè mancanti di quella perfezione artistica, a formare precisamente il volgo servile e pecorile delle figure incolori, sbiadite, comuni c similissime fra se stesse.
          E sembra fino impossibile che uno scrittore della dottrina e dell’acutezza dell’Agresti siasi lasciato sfuggire dalla penna una così meschina obiezione. Anche di pittori di madonne ve ne sono a migliaia nel cinquecento. K con questo?... Potremmo perciò togliere, seguendo il sistema dell’Agresti, l’originalità, l’eccellenza e lo splendore alle Madonne dipinte dal divino Urbinate? Vorremo gridar la croce addosso a tutti i critici d’arte che, dimenticando le Vergini dipinte dal volgo degli imbratta-tele, ammirarono, come tipi di perfezione artistica, quelle di Raffaello?...