Pagina:Meditazioni sulla economia politica.djvu/45

Da Wikisource.

In una nazione adunque, in cui restino salutarmente distribuite le fortune per modo che il popolo largamente trovi il necessario fisico, e speri coll’industria ciascuno di poter godere anche dei comodi; in quella nazione dico, basterebbe che le leggi non vi avessero posto ostacolo, perchè il numero de’ venditori di ogni merce sarebbe il massimo possibile nelle sue circostanze. Poichè dove la industria sia svincolata, ed abbia tutta la naturale sua attività, concorre ad ogni professione tanto numero per esercitarla, quanti è capace di mantenerne l’utile che se ne cava.

Ma in ogni paese, dove più, dove meno, i legislatori sono stati sedotti da uno spirito mal pensato di ordine e simmetria, ed han cercato di compassare e modellare quel moto spontaneo della società, di cui le leggi possono bensì conoscersi con un attento esame su i fenomeni politici, non mai anticipatamente prescriversi, siccome nelle lingue è accaduto, che non mai i grammatici hanno potuto organizzarle a loro talento, ma sibbene esaminarle, formate che furono da una massa d’uomini con una libera scelta, ed i filosofi posteriormente le analizzarono, e ne confrontarono le analogie.

L’idea di radunare ogni arte, ed ogni mercatura in un corpo, e di dare a questo corpo i suoi statuti, prescrivere il tirocinio, l’esame, e la qualità requisita per esservi annoverato, prevalse in ogni nazione, e tuttavia sussiste nella maggior parte. Essa porta con se un’apparenza di saviezza, e di prudente circospezione. Sembra che si assicuri in tal guisa il buon servizio del pubblico, la perfezione de’ mestieri, la fedeltà nella contrattazione, e che s’impedisca che gli uomini senza costume, e senza pratica possano defraudare i Cittadini, e screditare le produzioni interne presso gli stranieri.