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quindi l’Harrar e la costa Dancala fino a ricongiungersi con Arafali.

Era la più grande smentita che si potesse dare ai nostri diritti di confine e di protettorato, ed includeva anche minaccia di ritoglierci la costa Dancala da noi posseduta.

Alla notizia preoccupante dell’insuccesso della missione Antonelli, che aveva lasciato aperto un dissidio così profondo tra l’Italia e lo Scioa, vennero a far eco le voci di iniquità di ogni specie che sarebbero state commesse nell’Eritrea da alcuni funzionari coloniali e segretamente dal segretario coloniale avv. Cagnassi e dal capo della polizia indigena tenente Livraghi.1

Essi furono accusati di abuso di potere, di condanne ingiuste, di ricatti e di sequestri, di uccisioni e di sopressioni di individui e di intere bande, senz’alcuna formalità di legge, e di altri atti di efferrata barbarie, in cui avrebbero avuto per principale movente la ferocia ed il lucro personale.

Le vaghe accuse non risparmiarono neppure le persone dei Governatori e specialmente dei generali Baldissera ed Orero che si dissero gli inspiratori delle misure di ferocia usate contro gli indigeni.



  1. Queste voci furono originate dalla revisione di un processo, nella quale appariva che il ricco negoziante egiziano Mussa el Accad e l’ex capo degli Habab Ahmed Kantibai già condannati come rei di tradimento alla pena di morte commutata in quella dei lavori forzati a vita, fossero stati vittima di calunnia per parte di agenti della polizia indigena.
    Cagnassi fu arrestato improvvisamente a Roma e tradotto a Massaua; Livraghi, spaventato, potè riparare in Svizzera, ma poco dopo fu anch’esso arrestato a Lugano donde ne fu ottenuta dai Governo l’estradizione.