Pagina:Memorie storiche della città e marchesato di Ceva.djvu/10

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statua nè un’iscrizione nè qualunque siasi altro monumento che ricordi la dominazione Romana. Si citano è vero alcuni sepolcri in cui si rinvennero antiche monete di cui non si conosce la forma, ma questo proverà che quei popoli erano gentili e non di più.

Che Ceva fosse nei tempi antichi un Borgo cospicuo non se ne può dubitare, perchè l’importanza che ha al presente come centro di molti paesi Alpini e Langaroli, l’aveva già sicuramente sin dai tempi che cominciarono a coltivarsi, e a popolarsi queste nostre terre; e se i discendenti d’Aleramo la scelsero per capitale d’uno dei sette celebri Marchesati nel secolo XII, è segno che era già in allora un paese cospicuo, come vien qualificato in un antico istromento che dice Ceva Villa notabilis et grossa.

Il documento più certo dell’antichità di Ceva si è il celebre Capo XLII del libro XI di C. Plinio Secondo, della sua Storia naturale, citato da quanti scrissero memorie cevesi.

Siccome però non si cita per lo più che poche parole di questo libro, riuscirà cosa grata al lettore il leggere qui in disteso e nella lingua del Lazio l’intiero succitato capo colla sua traduzione in italiano: ecco le parole del testo:

« Laus caseo Romae, ubi omnium gentium bona cominus iudicantur, e provinciis Nemausensi praecipua, Lesurae Gabalicique pagis, sed brevis ac musteo tantum commendatio. Duobus Alpes generibus pabula sua approbant: Dalmaticæ Docleatem mittunt, Centronicæ Vatusicum. Numerosior Apennino. Cebanum hic e Liguria mittit, ovium maxime lactis: Æsinatem ex Umbria: mistoque Hetruriae atque Liguriae confinio Lunensem magnitudine conspicuum: quippe et ad singula millia pondo premitur: proximum autem urbi Vestinum, eumque e Cæditio campo laudatissimum. Et caprarum gregibus sua laus est, Agrigenti maxime, eam augente gratiam fumo, qualis in ipsa urbe conficitur, cunctis praeferendus. Nam Galliarum sapor medicamenti vim obtinet. Trans maria vero Bithynus fere in gloria est. Inesse