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In Pascale sacra communio ministratur in calice, et vinum datur in vase vitreo et bacinula circumfertur prò obblationibus colligendis ab ipsis communicatis, et mulieres partim communicantur.

Questa chiesa oltre l’altar maggiore ne conteneva ancor i seguenti:

1° L’altare di S. Michele; 2° quello dei SS. Crispino e Crispiniano spettante alla compagnia dei calzolai; 3° di S. Agata e Biagio una volta di S. Nicola Tolentino; 4° di S. Stefano proprio della famiglia Franco; 5° l’altare di S. Vincenzo, a cui s’unirono le cappelle di S. Eligio, di S. Antonio, di S. Maria, quello detto della Rogiarina e quello di S. Maria detta la petita e se ne formò un canonicato, al quale furono in seguito unite le cappelle di S. Maria della guardia che era fuori di Ceva, quella del Corpus Domini nella piazza della città, quella dello Spirito Santo che fu distrutta dalla innondazione. Fra tutte formavano un reddito di settanta scudi d’oro pel canonico che ne era al possesso; 6° quello di S. Catterina; 7° l’altare dei Santi Giovanni Battista ed Antonio della famiglia Gagliardi; 8° finalmente l’altare dei Santi Giacomo e Cristoforo di patronato dei Marchesi di Ceva.

Trovò il visitatore apostolico tutti questi altari mancanti degli arredi necessarii, ed alcuni pieni di ossami ed affatto indecenti.

La chiesa poi tutta screpolata con un pessimo pavimento senza confessionali e con una sacrestia minacciante rovina, dimodochè era evidente il bisogno di fabbricarne un’altra più comoda per la popolazione e più decorosa per la città.

Dai decreti emanati in tale occasione si scorge che questa chiesa era molto oscura, senza volta eccetto l’altare maggiore, ed alcune cappelle, che i sepolcri erano mal chiusi, ed esalanti grave fetore, e che le pareti erano ingombre d’armi gentilizie: Et ne deinceps parietes Ecclesiæ deturpari contingat decrevit arma omnia et insignia in eis affixa pænitus removeri, et in futurum nullatenus affigi sub pænis arbitrariis.