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caccie, tornei, canti di menestrelli, e tutto ciò che l’età di mezzo aveva di più poetico e di più splendido andava a gara per celebrare le imminenti nozze di Adelasia.

Questa principessa assisteva alle danze ed agli spettacoli, come altri assisterebbe ai preparativi dei proprii funerali. L’amore irresistibile concepito per Aleramo la rendeva indifferente a tutti i tripudii della corte paterna, ed invidiava la sorte della più umile villanella.

Ottone intanto le propone il progettato matrimonio. Se le prostra ai piedi Adelasia, protesta di non poter aderire ai suoi disegni, per non contaminare con uno spergiuro dinanzi a Dio, la coscienza propria, ed il real sangue d’Ottone.

Sdegnato il padre per una tal protesta, le lascia la scelta o d’un monastero o della mano del propostole sposo. Sceglie Adelasia il monastero. Viene da Ottone fatta accompagnar alla porla d’uno dei più solitarii chiostri della Germania.

Si trovò modo d’intendersi dai due amanti per la fuga da quel monastero. Nel più buio d’una notte mentre le monache andavano in coro a recitar l’uffizio, per la parte del cimitero se ne uscì Adelasia. L’aspettava ansiosa Aleramo, che presala in groppa sul suo cavallo si diede fra quelle folte boscaglie a precipitosa fuga temendo di venire sorpreso dalle guardie d’Ottone che ne andavano in cerca. Sul far della notte s’abbattono in una chiesuola eremitica e solitaria, cercarono ospitalità presso il vecchio romito che erasi colà ritirato dal mondo.

Era questo Igildo valoroso capitano d’Ottone. Riconobbe Aleramo da lui ammaestrato nell’armi, sentì con stupore la sua fuga con Adelasia dalla corte Imperiale. Loro fece le più amorevoli accoglienze, ed accompagnatili nell’umile sua chiesuola benedisse il loro matrimonio, e vestito Aleramo da pellegrino ed Adelasia da semplice contadinella, licenziolli nel Signore, ed essi traversata la Germania e la Lombardia vennero a rifuggirsi nei boschi di Ferrania, dove Aleramo