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arco del sacramento 223


Lo zoccolo è formato di due filari o corsi di parallelepipedi, ed è sporgente m. 0.15 in fuori del dado sui quattro fronti. L’altezza sua è di m. 1.10 allo sbocco meridionale, e di m 0,73 all’imbocco settentrionale del fornice, poichè la via scende da questo punto all’altro. Ma, però, un tempo essa era picciol cosa più elevata, come apparisce dal maggior risalto della pietra evidentissimo sul fronte dello zoccolo verso l’episcopio, sotto il fornice (Tav. XXXI). Con il recente lastricato, posteriore all’epoca delle misure da me eseguite, il livello della via in quel tratto è stato ancora più ribassato di pochi altri centimetri.

Ho voluto qui notate questi particolari per far comprendere che l’antica via saliva ad un di presso come l’attuale dal larghetto Torre alla Piazza del Duomo; ma avrò occasione di ritornare su questo argomento.

Il dado, alto m. 1.50, è formato di tre filari o corsi di simili parallelepipedi. Tanto lo zoccolo che il dado, avendo i corpi di disuguale altezza e le commessure verticali, avvicendate si, ma non corrispondenti, appartengono al genere di struttura murale detto da Vitruvio pseudisodomo1.

La cimasa è costituita propriamente da una fascia, alta m. 0.31 e sporgente m. 0.15, cioè quanto lo zoccolo, su tutti i lati. Essa non è completa sullo stilobate orientale, mancando di tutto il fronte meridionale e delle corrispondenti rivolte, come puossi osservare nella Tav. XXXI. Forse i pezzi che mancano furono travolti nelle demolizioni di qualche fabbrica che vi era stata addossata nei secoli scorsi, avendo rilevato dall’antica pianta di questa città dell’Abate Cassella che in quel posto vi e segnata un’altra fabbrica, la quale oggi non esiste. E le due scannellature verticali che sono sul fronte meridionale dello zoccolo di questo stilobate (Tav. XXX) accennano pure a qualche costruzione posteriormente addossatavi, laddove, se si volessero riferire soltanto al monumento in esame, non avrebbero ragion d’essere.

Ma questi massi di pietra che ci si scoprono oggi alla vista certamente non costituivano che lo scheletro, non erano che il nocciolo degli stilobati, e su di essi doveva esistere un rivesti-

  1. Vitruvio, op. cit. lib. II. capo VIII, num. 33.