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e corintio. Quando gli Architetti Romani presero a costruire, seguirono per lo più fedelmente i precetti dell’arte greca. Onde Vitruvio si attenne a prescrivere questi, rifiutando e riprovando ogni licenza che da essi fosse divagata.

Ed è pur vero che ai tempi suoi l’arco non ancora aveva avuto il predominio che ebbe di poi nelle romane costruzioni. Fu sotto l’impero che si crearono quelle meravigliose masse architettoniche di cui avanzano le reliquie. Per la qual cosa, se il bisogno dei primi tempi fu ristretto alle tre ordinanze su riferite con poca variazione nei particolari, poscia questi si dovettero adattare alle esigenze delle nuove proporzioni create dalle nuove masse per cagione dell’arco.

E che qualche licenza cominciava a far capolino e a svincolare la fantasia dalle pastoie di un rigoroso precettano lo apprendiamo da Vitruvio1, perchè ei ci dice: «Vi sono poi alcuni generi di capitelli, sopra le stesse colonne, diversamente denominati, dei quali però noi non possiamo indicare le proprietà delle simmetrie, nè dirli pure un nuovo genere di colonne; ma ben vediamo che le loro denominazioni sono state trasferite con varie mutazioni dalle corintie, dalle ioniche e dalle doriche; perchè sono quelle medesime simmetrie, alterate dalla raffinatezza di novelle sculture». Ora, stando a ciò che ne dice un autore si certo, egli è evidente che nuove forme di capitelli si andavano ideando, pur conservanti le simmetrie proprie dell’ordine cui si riferivano. Se fosse allora già compreso in queste nuove forme quello che noi conosciamo col nome di capitello composito non sappiamo; nè, essendovi, se fosse già ridotto alla perfezione di questo. Una nota alla stessa pagina della traduzione di Vituvio del Viviani fa avvertiti che i più antichi capitelli compositi sieno quelli dell’Arco di Tito. Della stessa opinione sono gli Architetti Giovan Battista Spampani e Carlo Antonini2,

  1. L’Architettura di Vitruvio, tradotta da Viviani, Udine 1830, libro IV, capo I. paragrafo 12.
  2. Gli ordini di Architettura Civile di M. Jacopo Barozzi da Vignola ecc. Edizione 2.a Milanese— Milano MDCCCXIV, Vallardi P. e Gius. pagina 59.