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140 ii - siroe


gelarsi il core, inumidirsi il ciglio:
parte del sangue mio verso nel figlio.
Arasse. Ubbidirò con pena;
ma pure ubbidirò. Di Siroe amico
io sono, è ver, ma son di te vassallo;
e sa ben la mia fede
che al dover di vassallo ogni altro cede.
          Al tuo sangue io son crudele,
     per serbarti fedeltá.
          Quando vuol d’un re l’affanno
     per sua pace un reo trafitto,
     è virtú l’esser tiranno,
     e delitto è la pietá. (parte)
Cosroe. Finché del ciel nemico
io non provai lo sdegno,
mi fu dolce la vita e dolce il regno:
ma, quando il conservarli
costa al mio cor cosí crudel ferita,
grave il regno è per me, grave è la vita.

SCENA II

Laodice e detto.

Laodice. Mio re, che fai? Freme alla reggia intorno
un sedizioso stuol, che Siroe chiede.
Cosroe. L’avrá, l’avrá. Giá d’un mio fido al braccio
la sua morte è commessa, e forse adesso
per le aperte ferite
fugge l’anima rea. Cosí gliel rendo.
Laodice. Misera me, che intendo!
E che facesti mai?
Cosroe. Che feci? Io vendicai
l’offesa maestá, l’amore offeso,
i tuoi torti ed i miei.