Pagina:Metastasio, Pietro – Opere, Vol. I, 1912 – BEIC 1883676.djvu/151

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atto terzo 145


Emira. Finsi finor, ma solo
per trafiggerti il cor.
Cosroe.  Che mai ti feci?
Emira. Empio! che mi facesti?
Lo sposo m’uccidesti;
per te padre non ho, non ho piú trono.
Io son la tua nemica, Emira io sono.
Cosroe. Che sento!
Arasse.  Oh meraviglia!
Cosroe.  Adesso intendo
chi mi sedusse il figlio.
Emira.  È ver, ma invano
di sedurlo tentai. Per mia vendetta
e per tormento tuo, perfido! il dico:
sappi ch’ei ti difese
dall’odio mio; ch’ei ti recò quel foglio;
che innocente morí; ch’ogni sospetto,
ch’ogni accusa è fallace.
Va’, pensaci e, se puoi, riposa in pace.
Cosroe. Serba, Arasse, al mio sdegno,
ma fra’ ceppi, costei.
Arasse.  Pronto ubbidisco.
Olá! deponi...
Emira.  Io stessa
disarmo il fianco mio. Prendi! (dá la spada ad Arasse,
il quale, presala, entra e poi esce con guardie)
 (a Cosroe) T’inganni
se credi spaventarmi.
Cosroe.  Ah! parti, ingrata:
d’un’alma disperata
l’odiosa compagnia troppo m’affligge.
Emira. Perché tu resti afflitto,
basta la compagnia del tuo delitto. (parte con guardie)