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164 | iii - catone in utica |
della patria e del sangue. E tu vorrai
che la tua prole istessa, una che nacque
cittadina di Roma e fu nudrita
all’aura trionfal del Campidoglio,
scenda al nodo d’un re?
Arbace. (Che bell’orgoglio!)
Catone. Come cangia la sorte,
si cangiano i costumi. In ogni tempo
tanto fasto non giova: e a te non lice
esaminar la volontá del padre.
Principe, non temer: fra poco avrai
Marzia tua sposa. In queste braccia intanto
(Catone abbraccia Arbace)
del mio paterno amore
prendi il pegno primiero, e ti rammenta
ch’oggi Roma è tua patria. Il tuo dovere,
or che romano sei,
è di salvarla o di cader con lei.
Con sí bel nome in fronte,
combatterai piú forte;
rispetterá la sorte
di Roma un figlio in te.
Libero vivi; e, quando
tel nieghi il fato ancora,
almen come si mora
apprenderai da me. (parte)
SCENA II
Marzia e Arbace.
Arbace. Poveri affetti miei,
se non sanno impetrar dal tuo bel core
pietá, se non amore!
Marzia. M’ami, Arbace?