Pagina:Metastasio, Pietro – Opere, Vol. I, 1912 – BEIC 1883676.djvu/172

Da Wikisource.
166 iii - catone in utica


Marzia. Forse i sospetti tuoi
dileguare io potrei, ma tanto ancora
non deggio a te. Servi al mio cenno, e pensa
a quanto promettesti, a quanto imposi.
Arbace. Ma poi quegli occhi amati
mi saranno pietosi o pur sdegnati?
               Marzia. Non ti minaccio sdegno,
          non ti prometto amor.
          Dammi di fede un pegno,
          fidati del mio cor:
          vedrò se m’ami.
               E di premiarti poi
          resti la cura a me:
          né domandar mercé,
          se pur la brami. (parte)

SCENA III

Arbace.

Che giurai! Che promisi! A qual comando
ubbidir mi conviene! E chi mai vide
piú misero di me? La mia tiranna
quasi sugli occhi miei si vanta infida,
ed io l’armi le porgo onde m’uccida.
               Che legge spietata,
          che sorte crudele
          d’un’alma piagata,
          d’un core fedele,
          servire, soffrire,
          tacere e penar!
               Se poi l’infelice
          domanda mercede,
          si sprezza, si dice
          che troppo richiede,
          che impari ad amar. (parte)