Pagina:Metastasio, Pietro – Opere, Vol. I, 1912 – BEIC 1883676.djvu/175

Da Wikisource.

atto primo 169


Catone.  E ben, si parli.
(Udiam che dir potrá.)
Fulvio.  (Tanta virtude
troppo acerbo lo rende. (a Cesare)
Cesare. Io l’ammiro però, se ben m’offende.) (a Fulvio)
Pende il mondo diviso
dal tuo, dal cenno mio: sol che la nostra
amicizia si stringa, il tutto è in pace.
Se del sangue latino
qualche pietá pur senti, i sensi miei
placido ascolterai.

SCENA V

Emilia e detti.

Emilia.  Che veggio, oh dèi!
Questo è dunque l’asilo
ch’io sperai da Catone? Un luogo istesso
la sventurata accoglie
vedova di Pompeo col suo nemico?
Ove son le promesse? (a Catone)
Ove la mia vendetta?
Cosí sveni il tiranno?
Cosí d’Emilia il difensor tu sei?
Fin di pace si parla in faccia a lei?
Fulvio. (In mezzo alle sventure
è bella ancor.)
Catone.  Tanto trasporto, Emilia,
perdono al tuo dolor. Quando l’obblio
delle private offese
util si rende al comun bene, è giusto.
Emilia. Qual utile, qual fede
sperar si può dall’oppressor di Roma?
Cesare. A Cesare «oppressor»? Chi l’ombra errante