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290 iv - ezio


Onoria. Ezio, qualunque nasce, alle vicende
della sorte è soggetto. Il primo esempio
dell’incostanza sua, duce, non sei.
L’ingiustizia di lei
tu potresti emendar. Per mia richiesta
Cesare l’ira sua tutta abbandona:
t’ama, ti vuole amico, e ti perdona.
Ezio. E il crederò?
Onoria.  Sí. Né domanda Augusto
altra emenda da te che il suo riposo.
Del tentativo ascoso
scopri la trama, e appieno
libero sei. Può domandar di meno?
Ezio. Non è poca richiesta. Ei vuol ch’io stesso
m’accusi per timore. Ei vuole a prezzo
dell’innocenza mia
generoso apparir. Sa la mia fede,
prova rossor nell'oltraggiarmi a torto:
perciò mi vuole o delinquente o morto.
Onoria. Dunque con tanto fasto
lo sdegno tuo giustificar non déi;
e, se innocente sei, placide, umili
sian le tue scuse. A lui favella in modo
che non possa incolparti,
che non abbia coraggio a condannarti.
Ezio. Onoria, per salvarmi,
ad esser vile io non appresi ancora.
Onoria. Ma sai che corri a morte?
Ezio.  E ben, si mora!
Non è il peggior de’ mali
alfin questo morir: ci toglie almeno
dal commercio de’ rei.
Onoria.  Pensar dovresti
che per la patria tua poco vivesti.
Ezio. Il viver si misura
dall’opre e non dai giorni. Onoria, i vili,