Pagina:Metastasio, Pietro – Opere, Vol. I, 1912 – BEIC 1883676.djvu/303

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atto terzo 297


Massimo. (Quanti perigli!)
Valentiniano.  Ezio, m’ascolti? Intendi
che parlo a te? Son tali i detti miei,
che un reo, come tu sei, debba sprezzarli?
Ezio. Quando parli cosí, meco non parli.
Valentiniano.  (Eh! si risolva.) Olá, custodi!
Fulvia.  Ah! prima
lo sdegno tuo contro di me si volga.
 (a Valentiniano)
Valentiniano.  Né puoi tacere? (a Fulvia) Il prigionier si sciolga.
(si tolgono le catene ad Ezio)
Ezio. Come!
Fulvia.  (Che veggio!)
Massimo.  (Oh stelle!)
Valentiniano.  Alfin conosco
che innocente tu sei. Tanta costanza
nel ricusar la sospirata sposa,
no, che un reo non avrebbe. Ezio, mi pento
del mio rigore: emenderanno i doni
le ingiuste offese de’ sospetti miei.
Vanne; Fulvia è giá tua; libero sei.
Fulvia. (Felice me!)
Ezio.  La prima volta è questa
ch’io mi confondo, e con ragion. Chi mai
un monarca rivale a questo segno
generoso sperò? La tua diletta
mi cedi, e non rammenti...
Valentiniano.  Omai t’affretta.
Impaziente attende
Roma di rivederti. A lei ti mostra:
dilegua il suo timor. Tempo non manca
a’ reciprochi segni
d’affetto, d’amistá.
Ezio.  Del fasto mio
or, Cesare, arrossisco; e tanto dono...