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atto terzo | 301 |
della sua crudeltá, gloria non cura:
pur la tua vita, Onoria, è mal sicura.
Onoria. Ah, inumano! E potesti...
Valentiniano. Onoria, oh Dio!
non insultarmi: io lo conosco, errai;
ma di pietá son degno
piú che d’accuse. Il mio timor consiglia.
Son questi i miei piú cari: in qual di loro
cercherò il traditor, s’io non gli offesi?
Onoria. Chi mai non offendesti? Il tuo pensiero
il passato raccolga, e non si scordi
di Massimo la sposa, i folli amori,
l’insidiata onestá.
Massimo. (Come salvarmi?)
Valentiniano. E dovrò figurarmi
che i benefici miei meno ei rammenti
che un giovanil trasporto?
Onoria. E ancor non sai
che l’offensore obblia,
ma non l’offeso, i ricevuti oltraggi?
Fulvia. (Ecco il padre in periglio.)
Valentiniano. Ah! che pur troppo
tu dici il ver; ma che farò?
Onoria. Consigli
or pretendi da me? Se fosti solo
a fabbricarti il danno,
solo al riparo tuo pensa, o tiranno. (parte)
SCENA X
Valentiniano, Massimo e Fulvia.
Massimo. Cesare, alla mia fede
troppo ingrato sei tu, se ne sospetti.
Valentiniano. Ah! che d’Onoria ai detti
dal mio sonno io mi desto: