Pagina:Metastasio, Pietro – Opere, Vol. I, 1912 – BEIC 1883676.djvu/396

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390 v - alessandro nell'indie


Cleofide.  Mi lasciò, lo perdei.
Alessandro. Dovevi almeno
fuggir, salvarti.
Cleofide.  Ove? Con chi? Mi veggo
da tutti abbandonata, e non mi resta
altra speme che in te.
Alessandro.  Ma in questo loco,
Cleofide, ti perdi. È di mie schiere
troppo contro di te grande il furore.
Cleofide. Sí, ma piú grande è d’Alessandro il core.
Alessandro. Che far poss’io?
Cleofide.  Della tua destra il dono
de’ greci placherá l’ira funesta.
Tu me la offristi, il sai.
Erissena.  (Sogno, o son desta?)
Alessandro. (Oh sorpresa! Oh dubbiezza!)
Cleofide.  A che pensoso
tacer cosí? Non ti rammenti forse
la tua pietosa offerta, o sei pentito
di tua pietá? Questa sventura sola
mi mancheria fra tante. Io qui rimango
certa del tuo soccorso.
Son vicina a perir, tu puoi salvarmi;
e la risposta ancora
su’ labbri tuoi, misera me! sospendi?
Alessandro. Vanne, al tempio verrò. Sposo m’attendi. (parte)

SCENA IV [I]

Cleofide ed Erissena.

Erissena. Cleofide, sí presto io non sperai
le lagrime sul ciglio
vederti inaridir: ma n’hai ragione.
Allor che acquisti tanto,
non è per te piú necessario il pianto.
Cleofide. «Il consolarsi alfine
è virtú necessaria alle regine».