Pagina:Metastasio, Pietro – Opere, Vol. I, 1912 – BEIC 1883676.djvu/45

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atto secondo 39


e non è meraviglia
s’io risolver non so. Tu mi consiglia.
Enea. Dunque, fuor che la morte
o il funesto imeneo,
trovar non si potria scampo migliore?
Didone. V’era pur troppo.
Enea.  E quale?
Didone. Se non sdegnava Enea d’esser mio sposo,
l’Africa avrei veduta
dall’arabico seno al mar d’Atlante
in Cartago adorar la sua regnante:
e di Troia e di Tiro
rinnovar si potea... Ma che ragiono?
L’impossibil mi fingo, e folle io sono.
Dimmi, che far degg’io? Con alma forte,
come vuoi, sceglierò Iarba o la morte.
Enea. Iarba o la morte! E consigliarti io deggio?
Colei che tanto adoro
all’odiato rival vedere in braccio!
Colei...
Didone.  Se tanta pena
trovi nelle mie nozze, io le ricuso:
tua, per tôrmi agl’insulti,
necessario è il morir. Stringi quel brando;
svena fa tua fedele:
è pietá con Didone esser crudele.
Enea. Ch’io ti sveni? Ah! piú tosto
cada sopra di me del ciel lo sdegno.
Prima scemin gli dèi,
per accrescer tuoi giorni, i giorni miei.
Didone. Dunque a Iarba mi dono. Olá! (esce un paggio)
Enea.  Deh! ferma.
Troppo, oh Dio! per mia pena
sollecita tu sei.
Didone.  Dunque mi svena.
Enea. No, si ceda al destino: a Iarba stendi