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atto terzo 143


Artaserse.  Se reo tu sei,
io ti rendo una vita
che a me donasti; e, se innocente, io t’offro
quello scampo che solo
puoi tacendo ottener. Fuggi; risparmia
d’un amico all’affetto
d’ucciderti il dolor; placa i tumulti
di quest’alma agitata. O sia che cieco
l’amicizia mi renda, o sia che un nume
protegga l’innocenza, io non ho pace
se tu salvo non sei. Parmi nel seno
una voce ascoltar, che ognor mi dica,
qualor bilancio e la tua colpa e ’l merto,
che il fallo è dubbio, il benefizio è certo.
Arbace. Signor, lascia ch’io mora. In faccia al mondo
colpevole apparisco, ed a punirmi
t’obbliga l’onor tuo. Morrò felice,
se all’amico conservo e al mio signore
una volta la vita, una l’onore.
Artaserse. Sensi non anco intesi
su le labbra d’un reo! Diletto Arbace,
non perdiamo i momenti. All’onor mio
basterá che si sparga
che un segreto castigo
giá ti puní; che funestar non volli
di questo dí la pompa, in cui mirarmi
l’Asia dovrá la prima volta in trono.
Arbace. Ma potrebbe il tuo dono
un giorno esser palese; e allora...
Artaserse.  Ah! parti,
amico, io te ne priego, e, se pregando
nulla ottener poss’io, re tel comando.
Arbace. Ubbidisco al mio re. Possa una volta
esserti grato Arbace. Ascolti intanto
il cielo i voti miei:
regni Artaserse, e gli anni