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146 vii - artaserse


orribili sospetti. Il mio timore
quante funeste idee forma e descrive!
Chi sa che fu di lui! Chi sa se vive!
Megabise. Troppo presto all’estremo
precipiti i sospetti. E non potrebbe
Artaserse, Mandane, amico, amante,
aver del prigioniero
procurata la fuga? Ecco la via
che alla reggia conduce.
Artabano.  E per qual fine
la sua fuga celarmi? Ah! Megabise,
no, piú non vive Arbace;
e ognun pietoso al genitor lo tace.
Megabise. Cessin gli dèi l’augurio. Ah! ricomponi
i tumulti del cor. Sia la tua mente
men torbida e piú pronta,
ché l’impresa il richiede.
Artabano.  E quale impresa
vuoi ch’io pensi a compir, perduto il figlio?
Megabise. Signor, che dici? Avrem sedotti invano,
tu i reali custodi, ed io le schiere?
Risolviti: a momenti
va del regno le leggi
Artaserse a giurar. La sacra tazza
giá per tuo cenno avvelenai. Vogliamo
perder cosí vilmente
tanto sudor, cure sí grandi?
Artabano.  Amico,
se Arbace io non ritrovo,
per chi deggio affannarmi? Era il mio figlio
la tenerezza mia. Per dargli un regno
divenni traditor. Per lui mi resi
orribile a me stesso; e, lui perduto,
tutto dispero e tutto
veggio de’ falli miei rapirmi il frutto.
Megabise. Arbace, estinto o vivo,