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12 xvi - temistocle


a’ tumulti guerrieri, il tuo naviglio

non si perdé?
Aspasia.   Sí, naufragò, né alcuno
campò dal mare. Io, sventurata, io sola
alla morte rapita,
con la mia libertá comprai la vita.
Temistocle. Come?
Aspasia.   Un legno nemico all’onde... oh Dio!
lo spavento m’agghiaccia... all’onde insane
m’involò semiviva;
prigioniera mi trasse a questa riva.
Temistocle. È noto il tuo natal?
Aspasia.   No: Serse in dono
alla real Rossane
mi die’ non conosciuta. Oh, quante volte
ti richiamai! con quanti voti il cielo
stancai per rivederti! Ah, non temei
sí funesti adempiti i voti miei!
Temistocle. Rasserénati, o figlia: assai vicini
han fra loro i confini
la gioia e il lutto; onde il passaggio è spesso
opra sol d’un istante. Oggi potrebbe
prender la nostra sorte un ordin nuovo:
giá son meno infelice or che ti trovo.
Aspasia. Ma qual mi trovi! in servitú. Qual vieni!
solo, proscritto e fuggitivo. Ah! dove,
misero genitor, dov’è l’usato
splendor che ti seguía? le pompe, i servi,
le ricchezze, gli amici?... Oh, ingiusti numi!
oh, ingratissima Atene!
e il terren ti sostiene! e oziosi ancora
i fulmini di Giove...
Temistocle.   Olá, piú saggia
regola, Aspasia, il tuo dolor. Mia figlia
non è chi può lo scempio
della patria bramar; né un solo istante
tollero in te sí scellerata idea.