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204 xix - antigono


Alessandro. (Che bell’ardir!) Ma che pretendi?

Demetrio.   Imploro
la libertá d’un padre;
né senza prezzo: alle catene io vengo
ad offrirmi per lui. Brami un ostaggio?
l’ostaggio in me ti dono.
Una vittima vuoi? vittima io sono.
Non vagliono i miei giorni
Antigono, lo so; ma qualche peso
al compenso inegual l’acerbo aggiunga
destin del genitore,
la pietá d’Alessandro, il mio dolore.
Alessandro. (Oh dolor che innamora!) È falso dunque
che il genitor severo
da sé ti discacciò.
Demetrio.   Pur troppo è vero!
Alessandro. È vero! E tu per lui...
Demetrio.   Forse d’odiarmi
egli ha ragione. Io, se l’offesi, il giuro
a tutti i numi, involontario errai:
fu destin la mia colpa; e volli e voglio
pria morir ch’esser reo. Ma, quando a torto
m’odiasse ancor, non prenderei consiglio
dal suo rigor.
Alessandro.   (Che generoso figlio!)
Demetrio. Non rispondi, Alessandro? Il veggo, hai sdegno
dell’ardita richiesta. Ah! no: rammenta
che un figlio io son; che questo nome è scusa
ad ogni ardir; che la natura, il cielo,
la fé, l’onor, la tenerezza, il sangue,
tutto d’un padre alla difesa invita;
e tutto déssi a chi ci diè la vita.
Alessandro. Ah! vieni a questo seno,
anima grande, e ti consola. Avrai
libero il padre: a tuo riguardo, amico
l’abbraccerò.