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atto secondo 267


SCENA X

Ipermestra, Danao celato, poi Linceo.

Ipermestra. V’è qualche nume in cielo,

che si muova a pietá? che da me lunge
guidando il prence... Ah, son perduta! ei giunge.
Linceo. Alfin, lode agli dèi, tutto è palese
il mistero, Ipermestra. Intendo alfine
tutti gli enigmi tuoi; de’ nuovi amori
tutta la storia io so. Sperasti invano
di celarti da me.
Ipermestra.   No: teco mai
celarmi io non pensai. So che t’è noto
troppo il mio cor, che mi conosci appieno,
che ingannar non ti puoi. (Capisse almeno!)
Linceo. Pur troppo m’ingannai. Prima sconvolti
gli ordini di natura avrei temuti,
che Ipermestra infedel. Tante promesse,
giuramenti, sospiri,
pegni di fé, teneri voti... E come,
crudel, come potesti,
al tuo rossor pensando,
pensando al mio martíre,
congiarti, abbandonarmi e non morire?
Ipermestra. (Numi, assistenza! io non resisto.)
Linceo.   Ingrata!
Bel cambio in ver per tanto amor mi rendi,
per tanta fé! Se fra’ cimenti io sono,
non penso a’ rischi miei: penso che degno
deggio farmi di te. Se qualche alloro
m’ottiene il mio sudor, non volgo in mente
che il mio n’andrá co’ nomi illustri al paro,
ma che a te vincitor torno piú caro.