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atto secondo 39


SCENA VII

Grande e ricco padiglione aperto da tutti i lati, sotto di cui trono alla destra, ornato d’insegne militari. Veduta di vasta pianura, occupata dall’esercito persiano disposto in ordinanza.

Serse e Sebaste con séguito di satrapi, guardie e popolo;
poi Temistocle, indi Lisimaco con greci.

Serse. Sebaste, ed è pur vero! Aspasia dunque

ricusa le mie nozze?
Sebaste.   È, al primo invito,
ritrosa ogni beltá. Forse in segreto
arde Aspasia per te; ma il confessarlo
si reca ad onta, ed a spiegarsi un cenno
brama del genitor.
Serse.   L’avrá.
Sebaste.   Giá viene
l’esule illustre e l’orator d’Atene.
Serse. Il segno a me del militare impero
fa’ che si rechi.

Serse va in trono, servito da Sebaste. Uno de’ satrapi porta sopra bacile d’oro il bastone del comando, e lo sostiene vicino a lui. Intanto nello approssimarsi, non udito da Serse, dice Lisimaco a Temistocle quanto siegue.

Lisimaco.   (A qual funesto impiego,

amico, il ciel mi destinò! Con quanto
rossor...)
Temistocle.   (Di che arrossisci? Io non confondo
l’amico e il cittadin. La patria è un nume,
a cui sacrificar tutto è permesso:
anch’io, nel caso tuo, farei l’istesso.)
Serse. Temistocle, t’appressa. In un raccolta
ecco de’ miei guerrieri