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atto primo | 171 |
e sa il ciel, tu lo sai,
s’io piansí allor su l’onorata testa.
Catone. Ma chi sa se piangesti
per gioia o per dolor? La gioia ancora
ha le lagrime sue.
Cesare. Pompeo felice!
invidio il tuo morir, se fu bastante
a farti meritar Catone amico.
Emilia. Di sí nobile invidia,
no, capace non sei, tu che potesti
contro la patria tua rivolger l’armi.
Fulvio. Signor, questo non parmi
tempo opportuno a favellar di pace.
Chiede l’affar piú solitaria parte
e mente piú serena.
Catone. Al mio soggiorno
dunque in breve io vi attendo. E tu frattanto
pensa, Emilia, che tutto
lasciar l’affanno in libertá non déi,
giacché ti fe’ la sorte
figlia a Scipione ed a Pompeo consorte.
Si sgomenti alle sue pene
il pensier di donna imbelle,
che vil sangue ha nelle vene,
che non vanta un nobil cor.
Se lo sdegno delle stelle
tollerar meglio non sai,
arrossir troppo farai
e lo sposo e il genitor. (parte)