Pagina:Metastasio, Pietro – Opere, Vol. I, 1912 – BEIC 1883676.djvu/187

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atto primo 181


Marzia.  Ad ubbidirmi, Arbace,
incominciasti appena, e in faccia mia
giá ne fai sí gran pompa?
Arbace.  Oh tirannia!

SCENA XIII

Emilia e detti.

Emilia. In mezzo al mio dolore, a parte anch’io
son de’ vostri contenti, illustri sposi.
Ecco, acquista in Arbace
il suo vindice Roma; e cresceranno
generosi nemici al mio tiranno.
Arbace. Riserba ad altro tempo
gli augúri, Emilia: è ancor sospeso il nodo.
Emilia. Si cangiò di pensiero
Catone o Marzia?
Arbace.  Eh! non ha Marzia un core
tanto crudele: ella per me sospira
tutta costanza e fede:
dai guardi suoi, dal suo parlar si vede.
Emilia. Dunque il padre mancò.
Arbace.  Né pur.
Emilia.  Chi è mai
cagion di tanto indugio?
Marzia.  Arbace il chiede.
Emilia. Tu, prence?
Arbace.  Io, sí.
Emilia.  Perché?
Arbace.  Perché desio
maggior prova d’amor, perché ho diletto
di vederla penare.
Emilia.  E Marzia il soffre?
Marzia. Che posso far? Di chi ben ama è questa
la dura legge.