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atto primo | 183 |
delle colpe il commercio; indi a vicenda
si soffrono tra loro: e i buoni anch’essi
si fan rei coll’esempio, o sono oppressi.
Marzia. Queste massime, Emilia,
lasciam per ora, e favelliam fra noi.
Dimmi: non prese l’armi
lo sposo tuo per gelosia d’impero?
E a te, palesa il vero,
questa idea di regnar forse dispiacque?
Se era Cesare il vinto,
l’ingiusto era Pompeo. La sorte accusa.
È grande il colpo, il veggio anch’io; ma alfine
non è reo d’altro errore
che d’esser piú felice il vincitore.
Emilia. E ragioni cosí? Che piú diresti
Cesare amando? Ah! ch’io ne temo, e parmi
che il tuo parlar lo dica.
Marzia. E puoi creder che l’ami una nemica?
Emilia. Un certo non so che
veggo negli occhi tuoi:
tu vuoi che amor non sia;
sdegno però non è.
Se fosse amor, l’affetto
estingui o cela in petto;
l’amar cosí saria
troppo delitto in te. (parte)
SCENA XV
Marzia.
Ah! troppo dissi, e quasi tutto Emilia
comprese l’amor mio. Ma chi può mai
sí ben dissimular gli affetti sui,
che gli asconda per sempre agli occhi altrui?